“Con la pratica della meditazione scoprirete che avete un paradiso portatile nel vostro cuore.”
Yogananda
Non è una sorpresa se in Occidente si parla sempre di più di Meditazione. In un mondo orientato verso la confusione, la rapidità e i ritmi frenetici a cui siamo sottoposti ogni giorno non c è da stupirsi se che molti cerchino una soluzione basata su un’attività tranquillizzante, semplice, silenziosa e legata in qualche modo alla spiritualità.
Il problema è che la maggior parte delle persone non ha idea di cosa sia la meditazione. Molti credono che si tratti di una pratica complicata e mistica, propria di monaci buddhisti fermi e immobili dentro a templi situati sulle montagne dell’Asia. Oppure sono convinti che sia un’attività per moderni hippie in ritiro negli ashram indiani.
In realtà, la meditazione è una pratica semplice, adatta a chiunque e soprattutto applicabile a qualunque età nella vita di tutti i giorni ed in qualsiasi momento. È così universale che tutti noi, ogni giorno, meditiamo. Spesso senza rendercene conto.
Tradizionalmente secondo gli 8 rami dello Yoga, sviluppati da Pattabhi Jois, troviamo una differenziazione tra meditazione e concentrazione . Spesso queste due parole vengono scambiate ma si tratta di due stati differenti, vediamoli un attimo.
Quando si parla di concentrazione, ci riferiamo al 6° ramo dello Yoga, ossia lo stato di Dharana. Patanjali (filosofo Indiano conosciuto per la stesura del testo Yogasutra) descrive la concentrazione come la capacità di “legare la coscienza in un unico posto”, per fa ciò si presume uno sforzo attivo e una partecipazione attiva per mantenere questo stato.
Questo “posto” dove trattenere la coscienza può essere: fisico, come un oggetto esterno (esempio un fiore, una candela, una fiamma ecc..) oppure energetico come un chakra, un mantra, un immagine mentale, concentrarsi al momento presente.
In realtà tutto ciò che facciamo può trasformarsi in una sorta di Dharana: lavorare, correre, parlare, ridere, quando osserviamo la natura, diventano Dharana se cambia il nostro atteggiamento interiore, se viviamo intensamente ogni istante.
Le varie tecniche che potete trovare da diversi fonti non sono altro che mezzi per portarvi in questo stato e successivamente in quello dopo. Infatti per potervi accedere bisogna prima “spianare “ il terreno e rimuovere quegli ostacoli che potrebbero impedire l’accadere della meditazione vera e propria. Questa concentrazione può essere rivolta verso l’interno o l’esterno con gli occhi aperti o chiusi.
Potrei definire Dharana come il totale assorbimento delle energie mentali in un singolo punto.
Quest’abilità di focalizzarsi in un punto con attenzione continua è essenziale, infatti la nostra mente è naturalmente dinamica e la nostra consapevolezza viene facilmente distratta dai continui vortici di pensieri ed emozioni, pertanto senza riuscire prima a concentrarsi su un singolo punto, non si riuscirà mai a guadagnare il controllo della mente ed entrare successivamente nella fase di meditazione profonda, Dhyana.
I buddhisti considerano la mente come una scimmia che nella quotidianità è quasi sempre impazzita, avvelenata e confusa.
La scimmia salta quindi da una liana all’altra, così come la nostra mente salta da un pensiero all’altro, senza sosta e in modo compulsivo. Un atteggiamento che al giorno d’oggi, con i continui stimoli che riceviamo, è diventato ancora più frequente e intenso.
Placare la scimmia, tranquillizzarla e tornare a controllarla è quindi il primo passo.
“Essere consapevoli del respiro sposta l’attenzione dai pensieri e crea spazio. È un modo di generare consapevolezza.”
Eckhart Tolle
Vediamo ora lo stato successivo a Dharana, lo stato di Dhyana, considerato come uno stato meditativo.
Dhyana fa parte del 7° ramo dello Yoga, e attraverso questo stato si varca l’ingresso della non forma, qui si abbandonano completamente le limitazione dei pensieri, dei sentimenti, delle emozioni. A differenza di Dharana, visto precedentemente, in cui si presumeva uno sforzo attivo, qui semplicemente è uno stato in cui ci si ritrova, in cui si fluisce senza sforzo. Il praticante che riesce a mantenere l’attenzione costante su un oggetto interno o esterno (Dharana), senza che la mente abbia fluttuazioni, approda direttamente in Dhyana, stadio nel quale l’attenzione all’oggetto è mantenuta senza che vi sia più nessuna intenzione o sforzo. Potrei definirlo come il totale assorbimento in quell’oggetto. Il preciso istante del passaggio da Dharana a Dhyana non può essere registrato dalla coscienza in quanto avviene come un’immersione e non un salto. Il momento in cui si capisce di essere in Dhyana è infatti l’esatto istante in cui si è usciti dalla meditazione. Dato che il riconoscimento è un processo mentale che etichetta le situazioni, nel momento in cui diventiamo consapevoli è automaticamente il momento in cui perdiamo lo stato.
Potrei definirlo quasi un stato di trans, di beatitudine in cui il tempo sembra fermarsi, in cui si perde la consapevolezza del tempo.
Lo scopo ultimo della meditazione, è quello di arrivare a percepire l’unità ossia sentirci in comunione con ogni forma di vita, un assaggio si può già sperimentare nello stato di Dhyana, tuttavia questa percezione è per lo più attribuita, secondo gli 8 rami dello Yoga, allo stato di Samadhi (8° ramo). In questo stato, che è il successivo a Dhyana, il senso di separazione scompare e possiamo sperimentare una sensazione di beatitudine, di pienezza della vita e di unione con tutto ciò che vive, di gioia incondizionata in cui le barriere tra voi e gli altri cadono.
Sii attento a ogni cosa.
Non esiste “il grande” e non esiste “il piccolo”.
Tutto è divino.
Puoi trovare Dio ovunque.
Sei tu a rendere le cose spirituali. La spiritualità è il tuo dono la mondo”
Osho